POSOPHIA
La poesia non si commenta. O è o non è. Ricordo a scuola l’obbrobrio del volgere in prosa. Davanti L’infinito ci obbligavano a quell’atto di magia nera che è trasformare versi divini in qualcosa di ragionevole, di terrestre. Ci insegnavano a normalizzare, ovvero a uccidere la poesia, a renderla povera e spiegabile come il quotidiano esecrabile. Un atto di magia nera per qualsiasi testo poetico. Maria Grazia Masella non è Giacomo Leopardi e io non sono Francesco De Sanctis, ma lo scempio vale per tutti.
Così dopo aver letto Posophia non sapevo bene che dire senza rovinare l’opera, e mi ha soccorso un’immagine: Sandro Penna si affaccia da una nuvoletta divinamente trasandata come la sua casa, perfetta come la sua poesia. Con un sorriso mesto e luminoso saluta Maria Grazia Masella recitandole un verso che tutta la comprende Scrivano, annota: la tenerezza.
Ogni sua poesia è tenerezza. Nella solitudine, nell’inganno, nel disinganno del narrare poetico. Ho letto Posophia ballando un valzer con Vivian Lamarque, diversa e lontana ma nella levità e nella disillusa ironia pronta a illudersi, sorella di Maria Grazia. Maria Grazia evoca il tempo di quando c’era il tempo. E il suono, e il ricordo.
(Dalla prefazione di Barbara Alberti)
L’Autrice
Maria Grazia Masella è avvocato cassazionista del foro di Roma. Già Garante cittadino per l’infanzia e l’adolescenza; Docente Diritti Umani UniPace Roma; Scrittrice-saggista e poeta. Ha pubblicato “Dall’altare al tribunale” (Feltrinelli 2003), “Il Maleducato” (Calice, 2008), “Codice Quazel” (Pellegrini, 2018), “Smatrimoniati” (Pellegrini, 2020) e numerosi editoriali sul diritto di famiglia e dei minori. Consulente legale per produzioni cinematografiche e televisive. Ha ideato il modello psico–legale per la risoluzione stragiudiziale delle crisi familiari pre e post separazione (COIMAP Consulenti Integrati Matrimoniali Avvocati e Psicologi).
Il Fotografo
Umberto Cornale è un autore singolare nel panorama italiano contemporaneo. Le sue immagini sono inaspettate e offrono l’opportunità di un viaggio surreale all’osservatore. La macchina fotografica di Umberto Cornale è come una cinepresa. Il cinema lo incuriosisce molto e verso la metà degli anni ’80 avrà l’opportunità di un approfondimento e una conoscenza diretta su di esso. Dopo gli studi artistici a Padova si iscrive alla scuola Ipotesi Cinema, a Bassano del Grappa; la scuola è allora diretta da Ermanno Olmi. Si tratta di un’esperienza formante per lui. Olmi è in quegli anni un regista acclamato e dall’enorme potenza visiva. Cornale vede nel cinema la possibilità di unire i vari linguaggi espressivi che lo affascinano (musica, fotografia, la grazia espressiva della danza) in una sola comunicazione che li abbraccia tutti. Nel contempo frequenta un corso di regia a Padova e gira un corto con un soggetto non suo riferito a una poesia di Emily Dicknson.
Anche nei suoi lavori composti da immagini singole, come ad esempio nei ritratti, Cornale mantiene coerente il suo modo di scattare e di proiettare i suoi pensieri sui soggetti con cui entra in relazione. Con discrezione si accosta e tramite loro “esiste”.